contatore presenze sito

La Vallisa - Bari



La Vallisa è una delle più antiche chiese di Bari. Le origini non sono ben documentate: per tradizione, la denominazione di Vallisa (la Veddise) viene rimandata alla colonia dei ravellesi, mercanti originari della co-stiera amalfitana, commercianti di grano, oro, olio, gioielli, stoffe, spezie e oggetti d’arte di importazione da Costantinopoli, che si insediarono a Bari per fondare una vera e propria colonia nel capoluogo pugliese, e stabilire il proprio centro spirituale nella chiesa di proprietà della famiglia ravellese Grisone. In realtà i ravellesi arrivarono a Bari dopo la distruzione del 1131, mentre la chiesa esisteva forse da prima dell’anno 1000.

La chiesa della “purificazione”, meglio nota come la raveddise e cioè dei ravellesi, è un monumento di origine romanica legato, come tanti altri, ad una comunità etnica qui impiantatasi fin dal secolo nono. Dotata di mura imponenti, era sorretta da alte colonne e maestosi capitelli. Un ambiente dove trovavano spazio grandi affreschi e immagini sacre che dominavano l’abside nella navata centrale.

In un documento del Codice Diplomatico Barese, datato 1594, viene chiamata San Pietro della Vallisa, come si può dedurre dal testamento dell’abate Leucio nel 1071, che ricorda la “... basilicam Sancti Petri in hac civitate retro nostri cenobi aedificatam...” (“…la chiesa di san Pietro fu edificata in questa città, dietro il nostro cenobio”). Dal 1777, invece, fu indicata come “Santa Maria della purificazione”, dal nome del-la confraternita lì fondata, o forse perché in prossimità della strada, chiamata via degli infetti, venivano bruciati abiti e masserizie degli appestati. Dal 1651, fu chiamata solo Vallisa.

Situata nell’omonima via, all’ingresso del borgo antico, sorge alle spalle dell’ex convento dei benedettini. Nel 1962 fu sottoposta, per opera dell’arch. Schettini, a un radicale intervento di restauro che consentì di ripristinarne l’aspetto medioevale, tramite l’eliminazione delle soprastrutture barocche e la ricostruzione di alcune parti come il portico, la facciata e le tre absidi.

Purtroppo dell’impianto originario non resta ormai quasi nulla e per cogliere qualche memoria dell’antico impianto, occorre osservare alcuni capitelli a doppio ordine di foglie ed un piccolo leone stiloforo, avanzo forse del portale del XII secolo. Anche dell’originale decorazione pittorica sopravvivono scarsi resti. L’unico documento più antico, perché ritenuto del 1300, sembra essere un’iscrizione, riportata nel primo degli arcosoli posti sul fianco sinistro della chiesa, che recita così: “Sepulcrum Leonis Mucili” (Tomba di Leone Mucilio).

Nel 1986 il progetto di restauro è stato portato a termine grazie all’impegno operoso dell’Arciconfraternita di Sant’Anna, con il coordinamento della Commissione Diocesana per la Musica Sacra, che hanno consentito il recupero di uno dei più antichi luoghi di culto della città, rendendolo un prestigioso contenitore culturale.

 

Copyright © 2020 Accademia delle Arti e delle Scienze Filosofiche